Σάββατο 21 Μαΐου 2016

Mercurio Bua Spata : Un grande capitano greco degli Stradiotti alla Italia

Mercurio Bua Spata, nato Maurizio (Μερκούριος [Μαυρίκιος] Μπούας Σπάθας, Nauplia, 1478 – Treviso, 1542), è stato un condottiero e capitano di ventura Arbereshe naturalizzato italiano. Fu conte di Aquino e di Roccasecca come vassallo del re di Francia. Maurizio Bua era discendente della famiglia principesca di origine Arbereshe greco dei Bua Spata, stabilitasi nel Peloponneso. I suoi antenati erano stati despoti di Angelocastro e di Arta, oltreché baroni del despotato di Morea. Dopo la conquista ottomana della penisola ellenica (1460), Pietro Bua, padre di Maurizio, era stato acclamato capo degli arbereshe di Grecia. Il Bua si trasferì giovanissimo a Venezia, a seguito della morte del padre (circa 1489), e qui cambiò il proprio nome da Maurizio in Mercurio. Avendo intrapreso la carriera militare, si pose al servizio della Repubblica di Venezia, compiendo le prime esperienze come stradiotto. Con lo scoppio delle lunghe guerre d'Italia (1494-1559), fu impiegato nell'esercito veneziano e partecipò alla battaglia di Fornovo (6 luglio 1495). Successivamente partecipò alla battaglia di Novara contro Luigi II, duca d'Orléans (futuro re di Francia) e l'anno successivo (1496), prese parte ai combattimenti contro i francesi nel regno di Napoli, a fianco degli aragonesi e di Francesco Gonzaga, mentre nei primi mesi del 1499, a seguito della prima cacciata dei Medici da Firenze, portò aiuto a Pisa che si ribellava al dominio mediceo: in questa occasione, si distinse in un'azione contro Piombino. Nell'estate del 1513, Mercurio Bua affrontò 200 stradiotti veneziani presso Padova. Durante lo scontro che ne seguì, un suo uomo si sarebbe fatto volontariamente catturare al fine di intavolare, per conto del Bua, delle trattative con gli avversari. Dopo aver ottenuto un salvacondotto dall'Alviano ed un incontro con il Provveditore Giovanni Vitturi e lo stesso Alviano, disertò l'esercito imperiale per passare nuovamente sotto le insegne marciane, al servizio delle quali avrebbe combattuto per il resto della propria vita. Raggiunta Venezia, il Bua venne ricevuto dal doge Leonardo Loredan, e a costui chiese che gli fosse assegnato il comando di tutti gli stradiotti: tale richiesta trovò, tuttavia, notevoli resistenze, specie tra i cavalieri di nazionalità greca. Il 7 ottobre di quell'anno si distinse nella battaglia di Creazzo contro gli spagnoli, ricevendo le lodi dell'Alviano e guadagnandosi così l'accesso al Collegio dei Savi. Nel 1514 si mosse verso il Polesine e riconquistò Rovigo, facendone prigioniero il commissario spagnolo; in seguito compì altre brillanti operazioni militari contro spagnoli e tedeschi, catturando armi e cavalli al nemico. Dopo avere saccheggiato il contado di Trento, entrò ad Este e successivamente affiancò l'Alviano nella nuova riconquista di Rovigo, precedentemente rioccupata dagli spagnoli: il Provveditore Generale Domenico Contarini ne lodò nuovamente l'audacia. Nel settembre del1515 fu, invece, sul campo della celebre battaglia di Marignano, dove veneziani e francesi ricacciano gli svizzeri al di là delle Alpi: pare che in quest'occasione, con un'eroica azione dei propri stradiotti, riuscisse a salvare la vita allo stesso re di Francia, presente sul campo di battaglia al comando delle proprie truppe. Quella stessa sera, stando alla cronaca riportata dallo scudiero del celebre cavalier Baiardo, il sovrano lo avrebbe abbracciato acclamandolo pubblicamente proprio salvatore. A seguito delle sue continue vittorie, particolarmente sulle forze d'occupazione spagnole di stanza tra Veneto e Lombardia, la sua popolarità a Venezia continuava a crescere: in appena due anni la sua provvigione mensile passò da 100 a 1.000 ducati, e nel 1516, a seguito di una vittoriosa azione presso San Martino Buon Albergo, domandò per sé al Collegio dei Savi una condotta di 100 lance e 300 cavalli leggeri, nonché un'ulteriore provvigione di 1.200 ducati, mentre per sei dei suoi uomini chiese che fossero armati cavalieri; fece richiesta, inoltre, di non dover più sottostare agli ordini del Provveditore agli stradiotti Giovanni Vitturi, ma solo a quelli del Provveditore Generale, del Capitano Generale e del Governatore Generale. Ottenne dal Senato veneziano, infine, l'investitura al rango comitale e la decorazione delle insegne di Cavaliere di San Marco. Sono questi gli anni in cui il Bua prese in moglie Caterina, «di nazion greca», figlia del capitano di ventura Nicolò Boccali. Ad aprile si mosse verso la Lombardia, dove partecipò prima alla difesa di Milano dalle forze imperiali che muovevano dal Trentino, poi ad azioni di saccheggio e di disturbo presso Lodi, Martinengo e Bergamo. Nello stesso momento, però, a Venezia, il Provveditore Generale Andrea Gritti lo criticava aspramente per la particolare indisciplina, l'avidità nel richiedere denaro alle casse veneziane e l'eccessiva accondiscendenza nei riguardi del generale alleato, il Connestabile di Borbone. Per tutto il resto dell'anno, il Bua continuò a condurre sortite e saccheggi a danno del contado di Verona, città ancora tenuta dagli imperiali e assediata dalle truppe della Serenissima: nel gennaio del 1517 fu tra i primi ad entrare in città, a seguito della resa tedesca. Contemporaneamente, teneva frequenti contatti con il doge e con il Consiglio dei Dieci, prese a frequentare più assiduamente Venezia e presenziò a numerose manifestazioni laiche e religiose a fianco delle massime autorità dello Stato; partecipò inoltre a una seduta del Maggior Consiglio. In aprile, invece, si tenne il battesimo in Santa Maria Formosa del suo primo figlio, Pirro. Dal 1532 si trasferì definitivamente nella propria abitazione di Treviso (situata presso la chiesa di San Nicolò), città dalla quale non si sarebbe quasi più mosso, benché desideroso, nonostante l'età, di tornare alle armi: propose, ad esempio, di promuovere attività insurrezionali nella natia Morea, allorché i Turchi si ritirarono da Corfù (1537). L'ultimo incarico affidatogli di cui si abbia notizia fu, probabilmente, una missione di scorta (da Venezia fino a Coira, attraversando la Valtellina) all'ambasciatore francese Antonio Rincon, di ritorno in Francia da Costantinopoli. Da lungo tempo malato di gotta, Mercurio Bua Spata si spense a Treviso nel 1542 e venne sepolto nella chiesa di Santa Maria Maggiore, quello stesso santuario in cui trent'anni prima, come già detto, il suo prigioniero Girolamo Miani – ironia del destino – aveva portato le proprie catene in ex voto alla Madonna; quello stesso santuario che, nel 1882, diventò proprietà dei Chierici Regolari di Somasca, ordine fondato dallo stesso Miani dopo la prigionia e la miracolosa liberazione. Lo splendido sarcofago marmoreo nel quale fu riposta la salma di Mercurio Bua, visibile tutt'oggi in detta chiesa, è opera dello scultore lombardo Agostino Busti, detto il Bambaia, originariamente destinato al musicologo Franchino Gaffurio e trafugato dal Bua stesso dalla Certosa di Pavia, durante il sacco della città del 1528. La famiglia Bua si estinse con la morte del nipote del condottiero, emigrato in Francia e stabilitosi presso la corte dei Valois, il quale morì durante le guerre di religione francesi di fine Cinquecento. L'eredità della famiglia passò quindi ai discendenti delle nipoti femmine del Bua, tra i quali i nobili trevigiani Agolanti.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Mercurio_Bua

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