La campagna italiana di Grecia si svolse tra il 28 ottobre 1940 e il 23 aprile 1941, nell'ambito dei più vasti eventi della campagna dei Balcani della seconda guerra mondiale. La campagna si aprì con un'offensiva del Regio Esercito italiano a partire dalle sue basi in Albania (controllata dagli italiani fin dall'aprile 1939) verso la regione dell'Epiro in Grecia, mossa decisa da Benito Mussolini al fine di riequilibrare lo stato dell'alleanza con la Germania nazista e di riaffermare il ruolo autonomo dell'Italia nel conflitto mondiale in corso. Malamente pianificata dal generale Sebastiano Visconti Prasca ed eseguita con forze numericamente insufficienti e scarsamente equipaggiate, l'offensiva italiana andò incontro a un disastro: bloccato l'attacco nemico, le forze greche del generale Alexandros Papagos, appoggiate da unità aeree della Royal Air Force britannica, passarono decisamente al contrattacco respingendo le unità italiane oltre la frontiera e continuando ad avanzare in profondità nel territorio albanese. La sostituzione di Visconti Prasca, prima con il generale Ubaldo Soddu e poi con il generale Ugo Cavallero, non portò a grandi miglioramenti per le forze italiane, rinforzate in maniera caotica da un flusso disorganizzato di truppe e alle prese con una pessima situazione logistica; solo a fine febbraio 1941 il fronte italiano poté infine essere stabilizzato. In marzo le forze italiane tentarono una massiccia controffensiva per respingere i greci dall'Albania, ma andarono incontro a un sanguinoso fallimento. La guerra si trascinò in una situazione di stallo fino all'aprile 1941, quando la Germania intervenne in forze nella regione balcanica: con un'azione fulminea, le truppe tedesche invasero la Jugoslavia e la Grecia, costringendole in poco tempo alla capitolazione. Benché vittoriosa nel finale, la campagna di Grecia si tradusse in un grave insuccesso politico per l'Italia, costretta ad abbandonare ogni pretesa di condotta autonoma e distinta dai tedeschi delle operazioni belliche.
I contrasti tra Regno d'Italia e Regno di Grecia erano di vecchia data. L'influenza egemonica esercitata dall'Italia sull' Albania, nazione indipendente dal 1912, fu una delle principali cause di attrito tra Roma e Atene, in particolare per quanto riguardava la definizione del confine meridionale del nuovo Stato, in Epiro settentrionale dove le popolazioni di origine greca e albanese risultavano mischiate tra di loro. Già all'inizio della prima guerra mondiale l'esercito ellenico occupò le regioni meridionali dell'Albania, in appoggio alle popolazioni greche locali che avevano proclamato l'indipendenza della zona come Repubblica Autonoma dell'Epiro del Nord; tuttavia nel 1916, nell'ambito dei più vasti eventi della campagna di Albania, le forze italiane occuparono incontrastate la regione dell'Epiro del nord e allontanarono senza colpo ferire i presidi greci nell'area. Il 29 luglio 1919 fu sottoscritto un accordo tra il primo ministro greco Eleutherios Venizelos e il ministro degli esteri italiano Tommaso Tittoni volto alla definizione delle questioni aperte tra i due paesi (anche con riguardo al problema dell'arcipelago del Dodecaneso, greco ma occupato dall'Italia), ma il patto fu disatteso da entrambe le parti e infine disconosciuto dal successore di Tittoni, Carlo Sforza. L'arrivo al governo di Benito Mussolini segnò un ulteriore peggioramento dei rapporti tra Italia e Grecia. Nell'agosto del 1923 una commissione italiana guidata dal generale Enrico Tellini, incaricata dalla Conferenza degli Ambasciatori di delimitare il confine tra l'Albania e la Grecia, fu assalita e trucidata da sconosciuti mentre si trovava in territorio greco lungo la strada tra Santi Quaranta e Giannina ; Mussolini ritenne responsabile dell'eccidio il governo greco, e il 29 agosto fece bombardare e occupare dalla Regia Marina l'isola di Corfù. La crisi di Corfù rientrò poi il 27 settembre, quando su pressione delle potenze europee la Grecia accolse le richieste italiane di un indennizzo per la questione in seguito tuttavia i rapporti tra i due paesi iniziarono a progredire: nel 1928 fu sottoscritto tra Italia e Grecia un trattato di amicizia, e la situazione migliorò ulteriormente quando nell'aprile del 1936 il primo ministro greco Ioannis Metaxas istituì ad Atene un regime dittatoriale di stampo fascista (il cosiddetto "Regime del 4 agosto"). Duro ma non particolarmente sanguinario, il regime di Metaxas dimostrava una certa cuginanza ideologica con l'Italia mussoliniana : fu introdotto il saluto romano e istituita un'organizzazione simile all' Opera nazionale balilla, vi era un forte controllo poliziesco con una severa censura della stampa e il confino per gli oppositori politici, e il monarca (Giorgio II di Grecia, restaurato sul trono nel 1935 dopo una breve parentesi repubblicana) deteneva solo un ruolo di rappresentanza; unitamente all'ammirazione che Metaxas nutriva per la Germania nazista (contrapposta all'atteggiamento della casa reale, che invece parteggiava per il Regno Unito), queste caratteristiche potevano costituire una solida base per la stipula di un'alleanza tra i regimi di Roma e Atene.
La lenta procedura di mobilitazione delle forze greche portò progressivamente sotto le armi circa 500.000 uomini, di cui più o meno 300.000 (comprese truppe dei servizi e di retrovia) furono prima o poi schierati contro gli italiani. Lo stato maggiore greco entrò in guerra sulla base delle linee del piano IB approntato precedentemente, il quale prevedeva una guerra difensiva contro l'aggressione congiunta di Italia e Bulgaria; quando si rese conto che i bulgari non avrebbero partecipato al conflitto, Papagos iniziò a trasferire sempre più unità dal settore della Tracia a quello dell'Epiro, fino a schierare sul fronte albanese la maggior parte delle divisioni più efficienti a sua disposizione. Allo scoppio della guerra l'esercito greco schierava in Epiro l'8ª Divisione fanteria rinforzata da una brigata addizionale di fanteria e da una di artiglieria per un totale, comprese le unità di presidio statico, di 15 battaglioni di fanteria e 16 batterie e mezzo di artiglieria con altri 7 battaglioni schierati in rinforzo nelle retrovie; la Macedonia occidentale era difesa dalla 9ª Divisione fanteria e dalla 4ª Brigata fanteria, per un totale di 22 battaglioni e 22 batterie e mezzo, mentre come giunzione tra le due forze vi erano due battaglioni, una formazione mista di cavalleria e una batteria e mezzo di artiglieria schierate nella zona del Pindo. Già il 14 novembre il numero delle divisioni greche schierate contro gli italiani era salito a sette, per poi arrivare a quattordici nel gennaio 1941 le divisioni greche avevano struttura triangolare (tre reggimenti di tre battaglioni ciascuno), risultando così singolarmente più consistenti delle corrispettive divisioni italiane. Le forze greche furono organizzate in due armate: l'Armata dell'Epiro del generale Markos Drakos e l'Armata della Macedonia occidentale del generale Ioannis Pitsikas. L'equipaggiamento delle forze terrestri greche era datato, risalendo in massima parte al periodo della prima guerra mondiale: la fanteria era equipaggiata con fucili Mannlicher-Schönauer e mitragliatrici Saint-Étienne mod. 1907, Hotchkiss Mle 1914 e Schwarzlose, l'artiglieria era piuttosto carente ma compensata da una buona disponibilità di mortai Brandt 81 mm Mle 1927 con artiglieri molto bene addestrati non vi erano carri armati o autoblindo, e la motorizzazione dei reparti era affidata a pochi autocarri racimolati alla meglio. La Regia aviazione greca era inferiore numericamente rispetto alla sua corrispettiva italiana: fonti greche indicano il totale dei velivoli a 38 caccia, 9 bombardieri leggeri, 18 bombardieri pesanti e 50 tra ricognitori e aerei per la cooperazione con le truppe al suolo, altri autori riportano un totale di 44 caccia, 39 bombardieri e 66 tra ricognitori e aerei d'appoggio. Solo una piccola parte dei velivoli greci era rappresentata da aerei moderni e competitivi, con un gran numero di apparecchi ormai tecnologicamente superati; i tipi più moderni erano rappresentati dai caccia Bloch MB 150 francesi e PZL P.24 polacchi e dai bombardieri Potez 630 francesi, Fairey Battle e Bristol Blenheim britannici. La Regia marina ellenica era una forza piccola: dopo l'affondamento dello Elli, la flotta comprendeva l' incrociatore corazzato Georgios Averof (ormai obsoleto e impiegato come nave scuola), due vecchie navi da difesa costiera (pre-dreadnought classe Kilkis, non più bellicamente efficienti), dieci cacciatorpediniere di cui quattro obsoleti (unità della classe Aetos) e sei moderni (quattro della classe Kountouriotis di costruzione italiana e due classe Vasilefs Geogios di costruzione britannica), tredici torpediniere per la maggior parte datate, sei sommergibili relativamente moderni e altre unità ausiliarie.
All'alba del 28 ottobre le forze italiane si mossero lungo il fronte da Gramos al mare: stando ai resoconti italiani le unità si mossero alle 6:00, ora di scadenza dell'ultimatum, mentre secondo fonti greche i primi reparti superarono la frontiera già alle 5:30. Il Raggruppamento Litorale mosse lungo la costa alla volta della foce del fiume Kalamas, mentre al suo fianco le divisioni "Siena" e "Ferrara" avanzarono in due colonne lungo la valle del fiume Vojussa con in appoggio i reparti motorizzati e corazzati della "Centauro", con obiettivo il ponte di Perati e la cittadina di Kalibaki ; più a nord, gli alpini della "Julia" mossero sul massiccio del monte Smolikas , parte della catena del Pindo e alto 2.600 metri, divisi in cinque colonne con obiettivo finale la cittadina di Metsovo , al fine di isolare le truppe greche nell'Epiro da quelle nella Macedonia occidentale. Il maltempo, iniziato già il 26 ottobre, ostacolò ben presto l'avanzata: le forti piogge ingrossarono il corso dei torrenti e trasformarono i sentieri in strisce di fango, con gli alpini della "Julia" che si ritrovarono a doversi aprire la strada lungo viottoli in mezzo a boschi; le piogge ostacolarono anche l'intervento dell'aviazione, annullando in parte il principale vantaggio di cui godevano gli italiani: furono condotti bombardamenti nelle retrovie greche contro i porti di Patrasso e Prevesa, il canale di Corinto e l' aeroporto di Tatoi vicino Atene, ma il supporto diretto ai reparti avanzanti nell'Epiro si rivelò nullo.
Il mare in tempesta portò il 29 ottobre alla cancellazione del progettato sbarco a Corfù, eliminando l'unico elemento di dinamismo nel piano italiano: l'offensiva si risolse in un mero movimento in avanti lungo la frontiera, un attacco frontale su un terreno che il nemico conosceva bene senza i vantaggi del fattore sorpresa o dell'appoggio aereo. Nei primi tre giorni l'avanzata italiana fu ostacolata più dal maltempo che dai difensori greci: il generale Papagos, nominato comandante in capo delle forze elleniche e affiancato dal generale Konstantinos Pallis come capo di stato maggiore dell'esercito, aveva organizzato la sua prima linea difensiva lungo il corso del fiume Kalamas, ancorata sulla destra ai massicci della catena del Pindo, con una seconda linea di difesa più indietro lungo i fiumi Arachthos e Venetikos fino al corso dell' Aliacmone; gli avamposti lungo la frontiera albanese furono abbandonati e le unità dell'Epiro ricevettero l'ordine di condurre una difesa elastica, ritardando il più possibile le forze italiane mentre l'Armata della Macedonia occidentale del generale Pitsikas, continuamente rinforzata da reparti richiamati dalla frontiera bulgara, andava concentrandosi per un'offensiva in territorio albanese verso Coriza. Le prime avanguardie italiane raggiunsero il Kalamas il 29 ottobre, mentre la "Julia" continuava a muoversi cautamente in avanti lungo i rilievi del Pindo raggiungendo Konitsa e Samarina: il trasporto dei rifornimenti lungo un terreno di 1.500 e più metri di quota si rivelò subito molto difficile, e le forze a disposizione della divisione si dimostrarono troppo esigue per condurre la manovra a tenaglia verso Metsovo. La manovra della "Julia", penetrata per più di 40 chilometri in territorio nemico, impensierì i greci che temevano un isolamento delle loro forze nell'Epiro da quelle nella Macedonia, e il 1º novembre l'armata di Pitsikas iniziò la sua offensiva in direzione dell'Albania: le divisioni italiane "Parma" e "Piemonte", frettolosamente rinforzate dai reparti della "Venezia" richiamata dalla frontiera jugoslava, furono ingaggiate frontalmente ed entro il 3 novembre le prime unità greche raggiunsero il fiume Devoli in territorio albanese. Il 2 novembre la "Julia" raggiunse il corso del fiume Vojussa e catturò la cittadina di Vovousa, 30 km a nord dell'obiettivo Metsovo, ma quello stesso giorno iniziarono gli attacchi greci alle fragili retrovie della divisione: gli alpini si ritrovarono ben presto isolati, privi di contatti radio con il comando e riforniti solo da lanci da parte degli aerei.
Mentre la divisione "Bari", poi seguita dalla 101ª Divisione motorizzata "Trieste" , veniva frettolosamente inviata in Albania a puntellare lo schieramento italiano e il generale Nasci distaccava alcuni reparti della "Centauro" per ristabilire i contatti con la "Julia", Visconti Prasca continuò con il suo attacco in Epiro: i difensori greci, rinforzati dall'arrivo di tre nuove divisioni e di un reggimento scelto di euzoni, tennero duro lungo il corso del fiume Kalamas, difficilmente guadabile per gli italiani, ma tra il 4 e il 5 novembre la "Siena" riuscì a stabilire una testa di ponte lungo la sponda sud, ricongiungendosi con il Raggruppamento Litorale che aveva attraversato la foce del fiume già il 28 ottobre. Il fronte stava ruotando, con gli italiani in avanzata verso sud-est e i greci in movimento verso nord-ovest, con la "Julia" a fare da perno ; ormai circondata, la divisione alpina ricevette il 7 novembre l'ordine da Nasci di ritirarsi: dopo duri combattimenti contro i reparti greci infiltrati alle spalle e otto giorni senza un vitto regolare, la "Julia" riuscì infine a sottrarsi all'accerchiamento e a ripiegare su Konitsa il 10 novembre dopo aver perso un buon quinto dei suoi effettivi. Mentre lo schieramento italiano arrancava in Epiro e dava pericolosi segni di cedimento sul Pindo e nel settore di Coriza, Visconti Prasca («un esaltato» lo definì il generale Pricolo dopo un incontro faccia a faccia il 2 novembre) continuava a dirsi fiducioso sulla riuscita dell'offensiva e a definire come «non inquietante» la situazione al fronte. La controffensiva greca stava però impensierendo gli alti comandi italiani, e il 6 novembre lo stato maggiore generale ordinò l'istituzione di un gruppo d'armate in Albania forte di due armate: la IX Armata del generale Mario Vercellino avrebbe difeso il settore di Coriza con le divisioni "Piemonte", "Parma", "Venezia" e "Arezzo" e quello del Pindo con la "Julia", la "Bari" e la 2ª Divisione alpina "Tridentina" di prossimo arrivo, l'XI Armata del generale Carlo Geloso avrebbe proseguito l'offensiva in Epiro con le divisioni "Siena", "Ferrara" e "Centauro" più altre quattro divisioni in fase di afflusso; altre tre divisioni sarebbero state concentrate in Puglia come riserva. Visconti Prasca fu presto messo da parte: il 9 novembre il generale fu formalmente sostituito al comando delle truppe italiane in Albania dal generale Soddu e designato a comandare la costituenda XI Armata, ma già l'11 novembre fu sostituito da Geloso e il 30 novembre posto in congedo assoluto per decisione del consiglio dei ministri.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Campagna_italiana_di_Grecia
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