Cartagine inviò nuovamente in Sicilia Imilcone al comando di un grande esercito di Libi e Iberi. Il generale punico fu abile a evitare la flotta di Leptine (che riuscì a intercettarne solo una parte, affondando 50 navi da trasporto con 5.000 soldati) e a sbarcare a Palermo . Riprese Erice e Mozia, marciò verso Messina, per impedire che arrivassero aiuti a Dionisio dall'Italia o dalla Grecia, e la espugnò, quindi avanzò verso Siracusa. A questo punto Dionisio tentò di isolare la fanteria di Imilcone dalla flotta che l'accompagnava: Leptine con 180 navi siracusane attaccò la flotta cartaginese (circa 200 navi) al largo di Catania, ma le navi puniche, più leggere ma anche più numerose e meglio manovrate, vinsero la battaglia navale e Dionisio dovette ritirarsi a Siracusa. Imilcone arrivò così a porre sotto assedio la città, ma per la seconda volta Siracusa fu salvata da un'epidemia che colpì l'esercito cartaginese nell'estate del 396 a.C. Dionisio colse l'attimo di debolezza del nemico per attaccarlo e metterlo in fuga: Imilcone scappò in Africa imbarcando una parte dell'esercito sulle 40 triremi superstiti, il resto dell'armata punica si arrese o fu catturata. Per l'onta Imilcone si lasciò morire di fame a Cartagine. Dionisio allora fece ripopolare Messina, le cui campagne furono oggetto di una nuova incursione cartaginese proveniente dai possedimenti punici guidata da Magone: una nuova vittoria siracusana liberò la zona dello Stretto e costrinse i Cartaginesi alla pace. Cartagine manteneva le città fenicie, elime e sicane nella Sicilia occidentale, rinunciando a qualsiasi pretesa alle città greche e sicule della Sicilia orientale. Dionisio I poté così dedicare le proprie mire espansionistiche ai danni delle città italiote.
I Cartaginesi, riorganizzatisi nel periodo in cui Dionisio I combatteva in Italia e prendeva Reggio, nel 382 a.C. tornarono in Sicilia, trovando appoggio fra gli italioti, pronti a sostenere Cartagine per timore dei Siracusani. Dopo alcuni anni di schermaglie inconcludenti, nel 375 a.C. le truppe cartaginesi furono sconfitte a Cabala, nella parte occidentale dell'isola. Approfittando di una breve tregua, Cartagine riorganizzò l'esercito e nei pressi del monte Cronion o Kronion (San Calogero: Sciacca, l'antica Terme Selinuntine) stavolta furono i Punici guidati dal figlio di Magone a sconfiggere le truppe di Dionisio: i Siracusani persero circa 14.000 uomini, tra cui anche il fratello di Dionisio I, Leptine. Le due parti quindi ritennero vantaggioso stipulare un trattato di pace che sanciva che i Cartaginesi avrebbero tenuto tutte le città assoggettate (Selinunte, Eraclea Minoa e Terme Selinuntine) ed il territorio di Akragas a ovest del fiume Halykos o Alico (l'odierno Platani), mentre Dioniso si impegnava a pagare le spese di guerra, pari a 1.000 talenti. La linea di demarcazione tra Cartagine e Siracusa lungo il corso dell'Alico sarebbe rimasta immutata per circa un secolo.
Meno di dieci anni più tardi, nel 368 a.C. Dionisio I ritentò l'eliminazione totale dei Punici dall'isola: con un esercito di 33.000 uomini prese Selinunte, Erice, Entella ed assediò Lilibeo, la città divenuta la nuova roccaforte cartaginese dopo la fine di Mozia. Ma una flotta di 200 navi cartaginesi giunte in soccorso riuscì a sorprendere e sconfiggere una flotta di 130 triremi siracusane presso il porto di Erice, Drepana, ponendo termine all'assedio. Dopo alcuni mesi morì Dionisio I e gli succedette Dionisio II , il quale, pur disponendo di un enorme esercito, essendo meno bellicoso del padre si occupò soprattutto di mantenere il potere messo in pericolo dalla fazione democratica, guidata da Dione, e da Iceta di Leontini, che si era alleato segretamente coi Cartaginesi per prendere il potere a Siracusa.
Nel 345 a.C. gli aristocratici siracusani chiesero alla madrepatria Corinto di liberarli dalla tirannide di Dionisio II. Corinto inviò il generale Timoleonte, a capo di una flottiglia di nove navi e di un contingente di 1.000 mercenari. Timoleonte riuscì ad eludere la flotta cartaginese che gli impediva di arrivare in Sicilia e a sbarcare a Taormina, che designò come propria base militare. L'obiettivo di Timoleonte, alleatosi al tiranno Mamerco di Catania, era Siracusa, che era in gran parte controllata da Iceta supportato dai Cartaginesi, mentre Dionisio II resisteva disperatamente nell'isola-fortezza di Ortigia. Timoleonte sconfisse l'esercito di Iceta , tre volte superiore al suo, ad Adranon e dopo la sconfitta Dionisio II si consegnò a Timoleonte e fu da lui esiliato a Corinto. Conquistata Siracusa, Timoleonte distrusse le fortificazioni di Ortigia e decretò la democrazia.
Alleatosi con molte città sicule e sicane, Timoleonte prese Entella e decise di tenere il fulcro delle sue operazioni militari in territorio ostile per non disturbare i territori degli alleati. Nell'estate del 339 a.C. al comando di un contingente inferiore numericamente all'avversario cartaginese, risultò vittorioso in quella che viene ricordata come la battaglia del Crimiso, dal nome del fiume presso cui avvenne. Secondo la versione corrente a questo punto i tiranni sicelioti, opponendosi alla egemonia siracusana, spinsero Timoleonte ad accettare un trattato di pace che, pur rendendo libere tutte le città greche dal giogo cartaginese e vietando a Cartagine di supportare i tiranni avversi a Siracusa, riportava il confine tra territori punici e greci al fiume Platani, vanificando di fatto la vittoria greca. Nel 315 a.C. Agatocle, divenuto tiranno di Siracusa anche grazie all'aiuto cartaginese dopo un periodo di circa venti anni di tranquillità politica e sociale con Timoleonte, fece rientrare nella sua area di influenza la città di Messina ed altre città siceliote come Milazzo, Centuripe e Taormina. Nel 311 a.C. rompendo gli accordi di pace con i cartaginesi (che prevedevano che Cartagine controllasse la Sicilia occidentale fino ai territori di Selinunte a sud ed Imera a nord) conquistò diverse piazzeforti puniche e devastò le campagne di Agrigento, città che ospitava molti esuli di diverse città che gli erano fieramente contrari.
Nel 310 a.C. Amilcare, nipote di Annone il Navigatore, attraversò il Canale di Sicilia alla guida di un esercito di 14.000 soldati al quale si unirono molti uomini delle città alleate siciliane: 45 000 soldati si disposero quindi sulla collina di Ecnomo, in prossimità dell'odierna Licata. Agatocle, dopo aver conquistato Gela, attaccò battaglia nei pressi del fiume Imera Meridionale Salso), ma venne sbaragliato. In breve molte città greche si allearono ai Cartaginesi, stanche dello strapotere di Agatocle, e Siracusa si ritrovò sotto l'assedio delle truppe di Amilcare. Ma Agatocle, considerando insuperabile dal nemico il possente apparato difensivo della città, raccolse gli uomini per una spedizione apparentemente folle: decise, infatti, di attaccare direttamente Cartagine, che sapeva senza esercito, così salpò nottetempo dall'assediata Siracusa alla volta dell'Africa con la sua flotta di 60 navi da guerra e 14.000 uomini alla volta.
Dopo sei giorni e sei notti di navigazione, sbarcato nei pressi di Cartagine, Agatocle bruciò le navi ed assediò la città. Si verificò così, per la prima volta nella storia, una situazione paradossale, in cui anche gli assedianti sono assediati. I Cartaginesi, presi in contropiede da tale mossa ed incapaci di liberarsi da soli dei Siracusani a cui si era unito un contingente di 10.000 Greci di Cirene , nel 307 a.C. decisero di richiamare gran parte dei loro uomini impiegati in Sicilia. Tanto più che due anni prima, nel 309 a.C., Amilcare II era stato sconfitto fuori dalle mura di Siracusa: catturato dai Siracusani, era stato torturato fino alla morte. Dato, quindi, che i Cartaginesi si stavano ritirando dalla Sicilia, allentando l'assedio a Siracusa per soccorrere Cartagine, Agatocle, forte dei successi in Africa tra i quali la presa di Utica, fece ritorno in Sicilia con 2 000 uomini per fronteggiare una coalizione di città siceliote ribelli capeggiate da Akragas e liberare definitivamente Siracusa. Però in Africa in sua assenza la situazione dei Greci andò rapidamente peggiorando e nemmeno il ritorno del tiranno fra le sue truppe (composte da circa 6.000 Greci, 6.000 mercenari celti, sanniti ed etruschi e 10.000 Libi) le salvò da una serie di sconfitte: l'esercito greco si ammutinò allora ad Agatocle, che fu costretto a fuggire nottetempo in Sicilia. Sconfitto in Africa, ma padrone di buona parte della Sicilia ad eccezione di Agrigento e dei possedimenti punici (il confine era ancora il fiume Alico), Agatocle mise a ferro e fuoco Segesta, rea di non averne soddisfatto le richieste di denaro: molti Segestani furono uccisi crudelmente e molti venduti come schiavi, la città cambiò il nome in "Diceopoli"(città giusta). Il tiranno riuscì quindi a strappare gran parte della Sicilia alla sfera di influenza punica, trasformando però l'isola con la sua crudeltà in un luogo di scorrerie e di povertà. Il controverso tiranno morì nel 288 a.C. mentre era intento a costruire una flotta che fosse in grado di riappropriarsi dei traffici marittimi e scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia. Succeduto ad Agatocle, il tiranno Iceta ottenne una vittoria presso la Sicilia sud-orientale, contro gli Agrigentini supportati dai Cartaginesi, ma fu da questi sconfitto nel 279 a.C. presso il fiume Terias. Deposto ed esiliato, fu sostituito da Tinione , il quale però dovette difendersi dalle mire di Sosistrato, tiranno di Agrigento, appoggiato da una parte dei cittadini di Siracusa. Anche il passaggio di Pirro in Sicilia può essere annoverato nello scontro tra Greci e Punici. Pirro, impegnato contro Roma, riteneva che il possesso della Sicilia gli avrebbe permesso di accrescere grandemente la propria potenza, consentendogli di imprimere una svolta decisiva anche alla guerra contro Roma. Inoltre era genero di Agatocle, di cui aveva sposato la figlia Lanassa nel 295 a.C. Infine, se avesse rifiutato di accorrere in aiuto delle città siceliote, tutta la sua costruzione propagandistica, fondata sulla difesa della grecità d'Occidente contro i barbari romani o cartaginesi, sarebbe crollata. Nel 278 a.C. il re dell'Epiro, decise, quindi, di assecondare le città greche di Sicilia che gli proponevano di scacciare dall'isola i Cartaginesi, che stavano assediando Siracusa (sempre divisa in fazioni rivali) con 100 navi e un potente esercito. L'epirota fu nominato re di Sicilia e vi sbarcò con un esercito composto da una ventina di elefanti, una gran varietà di macchine d'assedio e 10.000 soldati, arrivati fino a 37.000 grazie ai rinforzi dei Sicelioti. Pur non attaccando Messina, rimasta fedele a Cartagine dopo la conquista da parte dei mercenari campani di Agatocle (i Mamertini), distrusse le piazzeforti dei Mamertini e ne uccise gli esattori e nel 277 a.C. catturò Erice, la più munita fortezza filo-cartaginese sull'isola. A ruota seguirono le conquiste di Palermo , Eraclea Minoa ed Azone e la resa di altre città filo-puniche come Segesta, Iato e Selinunte nel 276 a.C. Nello stesso anno Pirro aggredì la fortezza di Lilibeo, ma la città, resa inespugnabile dal soccorso cartaginese, resistette all'assedio. La mancata vittoria finale ed il suo dispotismo nei confronti delle città alleate (uccise Tinione e provocò la fuga di Sosistrato), sottrasse a Pirro il sostegno dei sicelioti. Nel 276 a.C. fu quindi costretto ad abbandonare la Sicilia e venne attaccato nella traversata dello Stretto di Messina dalla flotta cartaginese, che affondò o catturò 70 delle sue 110 navi. Fu questo l'ultimo tentativo di un esercito greco di scacciare i Cartaginesi dalla Sicilia: ormai l'isola stava per diventare il campo di battaglia di Roma e Cartagine. I Mamertini, nutrita compagnia di mercenari campani al soldo di Agatocle, alla morte del tiranno si trovarono improvvisamente senza lavoro. Espulsi dalla popolazione siracusana con l'accordo di lasciare l'isola, anziché lasciare la Sicilia, dopo essere stati accolti a Messina, ne presero stabilmente il controllo con la violenza. I "Mamertini " (figli di Marte) controllavano Messina spargendo terrore nei territori circostanti. Per difendersi dall'attacco del nuovo tiranno di Siracusa, Gerone, nel 265 a.C. chiesero aiuto sia a Roma che a Cartagine. Roma , invocata dai Mamertini minacciati dai Siracusani, vide nella occupazione di Messina un mezzo per impadronirsi dei commerci nello stretto e anticipò i Cartaginesi nell'entrata in città. La dichiarazione di guerra a Cartagine e la conquista della città da parte di Roma segnò la fine delle guerre greco-puniche e l'inizio delle guerre puniche. Le due potenze (Cartagine e Siracusa), che fino a quel momento si erano contese il controllo della Sicilia e del Mediterraneo, ebbero a quel punto in Roma il nuovo fatale nemico, un nemico che le avrebbe superate in organizzazione ed astuzia. La prima guerra punica (264 - 241 a.C.) fu la prima di tre guerre combattute tra l' Antica Cartagine e la Repubblica romana. Per più di 20 anni, le due potenze si scontrarono per acquisire la supremazia nel Mar Mediterraneo occidentale, principalmente combattendo in Sicilia e nelle acque circostanti, ma anche in maniera minore nella penisola italiana e in Nordafrica. Cartagine era situata in quella che è l'odierna Tunisia ed era la potenza dominante del Mediterraneo occidentale all'inizio del conflitto. La Repubblica romana risultò vincitrice al termine della guerra e impose a Cartagine pesanti sanzioni economiche. L' assedio di Siracusa si riferisce alle operazioni belliche messe in atto dalle truppe romane di Marcello sotto le mura della polis di Syrakousai (odierna Siracusa) nel 212 a.C. Gli attacchi si svolsero per vie terrestri e per vie marittime ma in entrambi i casi l'esercito di Roma incontrò la insuperabile difesa pensata ed elaborata dallo scienziato e matematico Archimede. Durante l'assedio Ippocrate cercò rinforzi cartaginesi presso Eraclea Minoa ottenendo alcune vittorie contro i romani, Epicide invece rimase a Siracusa mantenendo sino all'ultimo una strenua difesa.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Assedio_di_Siracusa_(212_a.C.)
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Guerre_greco-puniche
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Prima_guerra_punica