L'etimologia del nome è incerta. Varrone ce ne riporta una popolare che la farebbe derivare dal greco sioù-boùllan al posto di theoù-boulèn, che indicherebbe "la volontà, la deliberazione del dio". Secondo Varrone, nel dialetto eolico si usava chiamare gli dei non θεοὺς, ma σιοὺς e consiglio non βουλὴν, ma βυλὴν, da cui Σίβυλλα o Σίβιλλα. La parola "Sibilla" indicherebbe perciò la manifestazione della volontà (βυλὴν) divina (σιοὺς). Abbiamo anche la forma Sybulam, che è molto suggestiva ("segno, avvertimento di dio"), ma si tratta di una trascrizione errata che ricorre solo sui manoscritti medievali. In origine Sibilla (dal greco Sibylla) era un nome proprio di persona. Probabilmente era quello di una delle sibille più antiche, la Sibilla Libica, come ci attesta Pausania. Pausania si rifà ad Euripide che nel prologo di una delle sue tragedie perdute (la "Lamia") avrebbe riferito il gioco di parole Sibyl/Lybis, secondo la lettura palindroma. Da nome proprio, col tempo "Sibilla" è diventata una definizione, un epiteto, passando a designare un tipo particolare di profetessa. Ciò avvenne in seguito al sorgere in diversi luoghi sacri di santuari nei quali venivano proferiti degli oracoli, ed al parallelo fiorire di raccolte di profezie. Così all'originario nome proprio di Sibylla fu necessario aggiungerne un altro (che divenne quello geografico della località interessata) che permetteva di distinguerle l'una dall'altra. Ma poiché nell'immaginazione degli antichi qualche sibilla - a causa della sua longevità millenaria - passava da un luogo all'altro per soggiornarvi lunghi periodi, ogni volta venendo chiamata con un nuovo nome geografico benché fosse sempre la stessa persona, essi sentirono il bisogno di ridare un nome proprio alle sibille più conosciute (p. es. "Erofile").
Con la parola "Sibilla" gli antichi greci e latini si riferiscono a tutta la classe delle profetesse, donne vergini e giovani, talora ritenute come decrepite, che svolgevano attività mantica in stato di trance. Tali donne mostravano abitualmente ai profani ed alle folle i loro responsi, sempre vani, lievi e numerosi come le foglie, che il vento disordinava disperdendone così il testo. Queste vergini, affidando al vento benevolo le loro verità non sempre gradite, lasciavano spazio alle illusioni dei questuanti che interpretavano a loro piacimento i responsi. Il perdurare della loro presenza dà risposte, nel mondo classico, al perdurare di domande alle quali i riti e i culti "diurni" in onore degli dei del Pantheon patriarcale sia romano che greco, non sapevano dare risposte. Nei suoi scritti Platone ne cita solo una, anche se in seguito le sibille divennero una trentina. Lo scrittore reatino Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) ne enumera dieci in ordine di antichità: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina. Emblematica la definizione della Sibilla che ci proviene dall'antichità classica, che le conferisce caratteri simili alla Pizia di Delfi: “Sibylla […] dicitur omnis puella cuius pectus numen recipit”. Nonostante nella tradizione letteraria non sia mai venuto meno il concetto della verginità della Sibilla, non si esclude l'unione della Sibilla col dio, che tuttavia non può che scegliersi una sposa vergine. Per la Sibilla la verginità non escludeva la gravidanza, infatti ella si univa ad Apollo ricevendo dal dio il πνεῦμα, un afflato amoroso che la rendeva gravida dell'oracolo di cui si liberava di volta in volta. Questa unione con il dio Apollo ha spesso messo a confronto le Sibille con le Pizie delfiche, ovvero con le eroine della leggenda col dono di profetare, come ad esempio Cassandra, che non erano legate ad alcun santuario e rivelavano il futuro senza essere interrogate. Queste Pizie, il cui nome derivava da Apollo Pizio (uccisore del serpente Pitone del quale aveva preso il posto a guardia del santuario di Delfi, divenuto suo centro oracolare), vaticinavano ex tempore, ed i loro versi non venivano scritti nel momento in cui li profetavano nel santuario delfico. Le Sibille invece riportavano i loro oracoli che circolavano in forma di libro; inoltre queste parlavano in prima persona nei loro vaticini, mentre la Pizia profetava in stato di estasi, posseduta da Apollo, e quando parlava in prima persona era il dio stesso a parlare.
L'origine delle Sibille come personaggi di antica tradizione, che già figuravano nella mitologia greca, si evince dalle testimonianze di Eraclito di Efeso (sec. VI-V a. C.),Euripide (V secolo a.C.), Aristofane (V-IV secolo a.C.), e Platone (V-IV secolo a.C.). Con l'estendersi della civiltà greca degli Ioni nel bacino del Mediterraneo si ebbe il moltiplicarsi delle Sibille nelle diverse tradizioni locali. Un ampio brano di Lattanzio, notoriamente interessato alla rivelazione sibillina, che egli stesso ritiene ispirata dall'unico Dio e rivolta alle nazioni, riflette la lista compilata da Varrone (I secolo a.C.), riguardante dieci Sibille connesse ad importanti centri del mondo ellenistico-romano.
La prima delle dieci varroniane era originaria della Persia da cui il nome Persica, che fu più tardi identificata con la Caldea. La seconda è quella che si diceva risiedesse in Libia, zona dalla quale prende il suo nome Libica: essa è menzionata da Euripide nel prologo della Lamia e considerata da Pausania la più antica di tutte; la terza è quella di Delfi (Delfica), di cui parla Crisippo nel libro “sulla Divinazione”, una tradizione la identifica inoltre con Erofile da Eritre e tale notizia ci è fornita da Eraclide Pontico, che parla di una Sibilla frigia nota a Delfi col nome di Artemide. Secondo Plutarco invece, questa sarebbe giunta dall'Eliconia, fu lei a predire ai Greci, in partenza per Ilio, che questa città sarebbe stata distrutta e che Omero avrebbe scritto dai suoi oracoli. La quarta Sibilla è quella Cimmeria situata in Italia, presso i Cimmeri intorno al lago Averno, di cui parlano Nevio nei suoi libri “ Bellum Poenicum” e Pisone negli “Annales” . La quinta Sibilla è quella Eritrea che Apollodoro di Eritre afferma essere sua compatriota. La sesta era la Samia, di cui parla Eratostene affermando di aver scoperto uno scritto negli antichi “Annales” dei Sami. La settima sibilla è la Cumana, detta anche Amaltea, Demofile o Erofile di cui abbiamo testimonianza in Licofrone, uno scrittore greco del IV secolo a.C. e in Eraclito. Fu la Sibilla Cumana a portare nove dei cosiddetti Libri Sibillini al cospetto di Tarquinio il Superbo. L'ottava Sibilla è quella dell'Ellesponto (Ellespontina), essendo nata nella campagna troiana nella cittadina di Marpesso, presso la località di Gergithium. Eraclide del Ponto scrive che questa visse al tempo di Solone e di Ciro. La nona è la Frigia, una Sibilla greca, più volte assimilata alla Marpessa, detta anche Cassandra o Taraxandra. La decima sibilla è quella di Tivoli (Tiburtina), dove era adorata come una dea sulle rive dell'Aniene, nei cui gorghi si dice fu trovata la sua statua che teneva un libro sibillino in mano; era chiamata anche Albunea. Una delle sibille non citate da Varrone in quanto sorta in epoca medievale è la Sibilla Appenninica, detta anche "Oracolo di Norcia" che viene legata alla Grotta della Sibilla situata sul Monte Sibilla, nella catena dei Monti Sibillini nei comuni di Arquata del Tronto e Montemonaco.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Sibilla