Ελληνική ιστορία και προϊστορία

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Τετάρτη 10 Μαΐου 2017

Storia della Grecia : La guerra di Troia e gli eroi degli greci Micenei

Nella mitologia greca, la guerra di Troia fu una sanguinosa guerra combattuta tra gli Achei e la potente città di Troia, presumibilmente attorno al 1250 a.C. o al 1194 a.C., nell'odierna Turchia. Gli eventi del conflitto sono noti principalmente attraverso i poemi epici Iliade ed Odissea di Omero, composti intorno al IX secolo a.C. Entrambi narrano una piccola parte del conflitto: l'Iliade i fatti avvenuti durante l'ultimo anno di guerra, l' Odissea, oltre al viaggio di Ulisse per tornare in patria, narra la conquista di Troia. Le altre opere del "Ciclo Troiano " sono andate perdute e sono conosciute solo tramite testimonianze posteriori. Singoli episodi sono infatti descritti in innumerevoli testi della letteratura greca e latina, e dipinti o scolpiti in numerose opere d'arte. Secondo l' Iliade, la guerra ebbe inizio a causa del rapimento di Elena, regina di Lacedemone (la futura Sparta), ritenuta la donna più bella del mondo, per mano di Paride, figlio di Priamo re di Troia. Menelao, marito di Elena, e il fratello Agamennone radunarono un esercito, formato dai maggiori comandanti dei regni greci e dai loro sudditi, muovendo guerra contro Troia. Il conflitto durò dieci anni, con gravissime perdite da entrambi gli schieramenti. Fra le vittime vi fu Achille, il più grande guerriero greco, figlio del re Peleo e della dea Teti. Achille era re dei Mirmidoni, che condusse in molte battaglie contro Troia, venendo infine ucciso da Paride che, per vendicare la morte del fratello Ettore , lo colpì con una freccia al tallone, suo unico punto debole. Troia infine cadde grazie all'astuto Ulisse e al suo piano del cavallo di legno, cambiando l'esito del conflitto. È ancora oggetto di studi e di controversie la questione della veridicità storica degli avvenimenti della guerra di Troia. Alcuni studiosi pensano che vi sia un fondo di verità dietro gli scritti di Omero, altri pensano che l'antico poeta abbia voluto raggruppare in un unico conflitto, quello fra greci e troiani, le vicende di guerre e assedi diversi succedutisi nel periodo della civiltà micenea. Alcuni studiosi pensano, invece, che Omero non sia mai esistito o che Iliade e Odissea siano opera di autori diversi. I due poemi hanno comunque reso possibile la scoperta delle presumibili mura di Troia, collocando cronologicamente la guerra verso la fine dell'età del Bronzo, intorno al 1300 - 1200 a.C., in parte confermando la datazione di Eratostene.
Zeus si era accorto che la Terra era troppo popolata. Inizialmente voleva distruggere l'umanità con fulmini e inondazioni, poi su consiglio di Momo, il dio degli scherzi, o di Themis, decise invece di favorire il matrimonio di Tetide e Peleo, da cui sarebbe scoppiata appunto la guerra di Troia, che avrebbe portato alla fine del regno degli eroi. C'è anche chi sostiene che Zeus vedesse in molti guerrieri dei potenziali usurpatori del trono di capo degli olimpi. Come racconta la mitologia greca, Zeus era diventato re degli dei detronizzando Crono, il quale a sua volta aveva preso il posto di suo padre Urano. Memore di quanto possa essere crudele la propria progenie, Zeus, che aveva avuto molti figli dalle sue tante relazioni con donne mortali, ne aveva timore: e più in generale temeva l'intera categoria dei semidei.
Zeus venne a sapere da Themis o da Prometeo che un figlio avrebbe potuto detronizzarlo, proprio come lui aveva fatto col padre. Un'altra profezia aveva inoltre predetto che la ninfa Teti, con cui Zeus tentava di avere una relazione, avrebbe generato un figlio che sarebbe diventato più grande del padre. Per queste ragioni Teti sposò un re mortale molto più vecchio di lei, Peleo. Fece questo o per ordine di Zeus o perché non voleva fare uno screzio ad Era che l'aveva allevata da bambina. Tutti gli dei vennero invitati al matrimonio di Peleo e Teti eccetto Eris, la dea della discordia, che fu fermata alla porta da Hermes per ordine di Zeus stesso. Sentendosi insultata, la dea andò su tutte le furie e gettò nel bel mezzo della tavolata una mela d'oro con la scritta «traslitterato Tê Kallístē» (alla più bella). Era, Atena e Afrodite pensavano spettasse loro di diritto possedere la mela e cominciarono a litigare fra di loro. Nessuno degli dei tentò di favorire con la propria opinione una delle tre dee per non inimicarsi le altre due. Zeus ordinò quindi a Hermes di condurre le tre dee da Paride , un principe troiano, ignaro della sua discendenza reale, che era stato abbandonato appena nato sul monte Ida poiché un sogno premonitore aveva profetizzato che egli sarebbe stato causa della guerra di Troia. Le dee apparvero al giovane nude e siccome Paride non era in grado di dare un giudizio, le tre divinità promisero al giudice dei doni. Atena gli offrì la saggezza, l'abilità bellica, il valore dei guerrieri più potenti, Era il potere politico e il controllo su tutta l' Asia, Afrodite l'amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta . Paride diede la mela ad Afrodite. Le due dee che avevano perso andarono via desiderose di vendetta. Il giovane si recò in seguito in città, a Troia, perché gli araldi di Priamo avevano portato via il suo toro migliore per darlo in premio al vincitore di alcune gare sportive organizzate dal re. Paride partecipò ai giochi atletici e sconfisse i nobili rampolli di Troia, vincendo di conseguenza il proprio toro. I giovani troiani, umiliati, volevano ucciderlo ma Cassandra, figlia preveggente del re Priamo, riconobbe in lui il fratello perduto. Priamo decise allora di accettarlo nella famiglia reale, sebbene Cassandra avesse consigliato di non farlo. Dall'unione fra Peleo e Teti nacque un bambino, Achille. L'oracolo predisse che sarebbe morto o vecchio a causa della maturità in una vita tranquilla e priva di imprese, o giovane sul campo di battaglia guadagnando l'immortalità attraverso la poesia degli aedi. Teti tentò di rendere immortale il figlio. Lei provò dapprima a bruciarlo nel fuoco durante la notte per eliminare le sue parti mortali e poi a strofinarlo con ambrosia durante il giorno. Peleo, che già aveva perso sei figli in questa maniera, riuscì a fermarla. Teti lo bagnò allora sul fiume Stige facendolo diventare immortale nei punti toccati dall'acqua. Lei aveva però tenuto il piccino dal tallone che rimase la sua unica parte vulnerabile, da qui la frase «tallone d'Achille», per indicare il punto debole di una persona.
Otto anni dopo lo sbarco in Misia gli eserciti greci furono ancora radunati. Ma non appena le navi giunsero in Aulide il vento cessò di soffiare. Calcante profetizzò che Artemide era offesa con Agamennone perché questi aveva ucciso un cervo sacro o perché lo aveva ucciso in un bosco sacro, dicendo di essere un cacciatore migliore di lei. L'unico modo di placare Artemide era sacrificare Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra o di Elena e Teseo, affidata alla sorella dopo il matrimonio con Menelao. Agamennone rifiutò la proposta ma gli altri principi minacciarono di fare comandante Palamede, se Agamennone non avesse avuto il coraggio di uccidere la figlia. Fu costretto ad accettare e richiamò la figlia e la moglie in Aulide col pretesto di voler far sposare Ifigenia con Achille. In un impeto di amore paterno Agamennone mandò una lettera alla moglie, ordinandole di rimanere a Micene, poiché quella era una trappola ma il messaggio venne intercettato da Ulisse (o da Palamede) che non la spedì a destinazione. Ulisse e Diomede vennero mandati a Micene per condurre lì la giovane e la famiglia di Agamennone. Clitemnestra venne però a sapere dell'inganno grazie ad Achille. Questi promise inoltre il suo aiuto ma Ulisse riuscì a sobillare l'esercito chiedendo il sacrificio. Ifigenia, in uno slancio patriottico, decise allora di sacrificarsi per il bene della Grecia. La giovane secondo una prima tradizione morì effettivamente immolata, secondo un'altra, quella utilizzata da Euripide, fu scambiata con una cerva da Artemide stessa che la portò in Tauride, designandola come sua sacerdotessa.
Le forze greche sono descritte in dettaglio nel secondo libro dell'Iliade, il cosiddetto Catalogo delle navi, che comprendeva 1178 navi con 50 rematori circa a testa. Questa accurata descrizione ci permette di avere una visione della situazione geo-politica greca, poco prima della guerra, con la famiglia dei Pelopidi alla guida del grosso dell'armata achea. Tucidide spiega che secondo la tradizione erano approssimativamente 1200 navi, con un numero di uomini variabile, vi era chi infatti come i Beoti aveva navi con 120 uomini, chi, come Filottete, soltanto cinquanta.
Le forze greche andavano quindi da un minimo di 70.000 a un massimo di 130.000 uomini. Un altro catalogo viene dato da Apollodoro che differisce su qualcosa ma è simile ad Omero nella suddivisione numerale. Alcuni pensano che Omero abbia preso spunto da reali documenti provenienti dall'età del bronzo, altri pensano che abbia inventato tutto. Oggi gli storici hanno drasticamente ridimensionato la consistenza del corpo di spedizione greco, le cui forze vengono stimate in circa 300 navi e 15.000 uomini. Vengono anche descritti gli schieramenti troiani, che secondo Omero contavano circa 50.000 uomini fra Troiani e alleati. Non sappiamo quale lingua parlavano i troiani. Omero spiega che i contingenti alleati di Troia parlavano lingue straniere, i comandanti in seguito traducevano gli ordini. Nell'Iliade inoltre troiani ed Achei hanno stessi usi, stessi costumi e stessa religione. Gli avversari parlano inoltre la stessa lingua. Calcante profetizzò che il primo acheo a toccare la terra troiana, dopo essere sbarcato con la sua nave, sarebbe morto per primo. Achille decise dunque di non essere il primo a scendere e fu così Protesilao, re di Filache, a sbarcare per primo, il Pelide scese solo in seguito, uccidendo, durante lo scontro che ne seguì, Cicno, alleato dei troiani e figlio di Poseidone. I troiani, spaventati dall'assalto greco fuggirono all'interno della città mentre Protesilao che aveva dimostrato valore e coraggio, uccidendo diversi troiani trovò, primo fra tutti, la morte per mano di Ettore, Enea, Acate o Euforbo (le tradizioni divergono su questo punto). Gli dei lo seppellirono come un dio sulla penisola Tracia e dopo la sua morte fu il fratello Podarce a guidare le truppe di Filache.
Patroclo, fedele compagno di Achille, vedendo la battaglia infuriare all'interno del campo greco, supplicò l'amico di concedergli di prendere le sue armi e condurre i Mirmidoni al fianco degli altri Achei. Achille accettò, ma raccomandò a Patroclo di limitarsi a cacciare i nemici dal campo greco, senza andare oltre. Nel frattempo i Troiani erano riusciti a dar fuoco alla nave di Protesilao, ma l'arrivo dei Mirmidoni guidati da Patroclo, che essi credevano Achille, li mise in fuga. Patroclo li incalzò fin sotto le mura: gli si oppose Sarpedonte, il comandante dei lici, che era figlio di Zeus. Il re degli dei, nonostante avesse a suo tempo desiderato la morte di tutti i semidei, compreso il suo, di colpo cambiò idea e forse l'avrebbe salvato se non fosse intervenuta Era ricordandogli come tutto fosse ormai già fissato: Sarpedonte inevitabilmente cadde sotto i colpi di Patroclo, Zeus poté solo limitarsi a trasportare il corpo in Licia, terra nativa dell'eroe. Era però giunta anche l'ora di Patroclo: Apollo con un gran colpo lo stordì, il giovane troiano Euforbo lo ferì con la lancia, ma non era abbastanza forte per ucciderlo: fu Ettore che diede il colpo finale. Morendo, Patroclo predisse l'uccisione di Ettore ormai prossima, il quale si impadronì delle armi del morto. Euforbo cercò invece di impossessarsi del cadavere, ma venne ucciso da Menelao.
Vedendo arrivare la salma del fedele amico, Achille si rinchiuse nel proprio furore, decise di raccordarsi con Agamennone e di tornare a combattere, con le nuove armi forgiate da Efesto. Ripieno di ira si scagliò contro i troiani: alcuni morirono eroicamente, altri spaventati tentarono di fuggire, chi correndo verso le mura, chi gettandosi nel fiume Scamandro . Achille non ebbe pietà per nessuno e uccise un gran numero di nemici, anche chi spaventato lo supplicava. I Troiani superstiti si precipitarono all'interno delle mura, eccetto Ettore che rimase davanti alle Porte Scee, bloccato dal suo destino; a nulla valevano i disperati richiami dei genitori. Ettore propose ad Achille il giuramento di rendere alla famiglia il corpo di quello dei due che verrebbe ucciso, ma il Pelide rifiutò rabbiosamente. Il duello iniziò, le lance volarono senza successo, e nel corpo a corpo Achille trafisse Ettore nel solo punto scoperto, tra il collo e la spalla. Morendo, Ettore presagì la prossima morte del nemico; Achille, accecato dall'odio, forò i piedi del cadavere e lo legò sul proprio cocchio, facendone orribile scempio. Priamo chiese infine ad Achille il corpo del figlio, i cui funerali sono l'ultimo evento narrato nell'Iliade.
Poco dopo la morte di Ettore, Pentesilea, regina delle Amazzoni, venne a Troia col suo esercito di donne guerriere. Pentesilea, figlia di Ortrera e di Ares aveva ucciso accidentalmente la sorella Ippolita. Venne purificata per questa azione da Priamo e in cambio lottò per lui e uccise molti greci, incluso Macaone (secondo alcuni Macaone fu ucciso da Euripilo, figlio di Telefo) e, secondo un'altra versione, anche Achille, che venne poi riesumato per ordine di Teti. Pentesilea venne poi uccisa da Achille che, dopo averla uccisa, si innamorò della sua bellezza. Tersite, un soldato semplice, derise Achille per questo suo amore e scanalò fuori gli occhi di Pentesilea. Achille uccise Tersite e, in seguito a una disputa, navigò verso Lesbo per farsi purificare. Nel viaggio fu accompagnato da Ulisse, e i due sacrificarono ad Apollo, Artemide e Latona. Mentre Achille faceva ritorno a Troia, Memnone, re d'Etiopia, figlio di Titone ed Eos arrivò col suo esercito ad aiutare Priamo, suo zio. Egli non veniva direttamente dall'Etiopia ma da Susa , dopo aver conquistato tutte le popolazioni fra Troia e la Persia. Condusse così in Troade un esercito formato da etiopi, persiani, assiri e indiani. Indossava una corazza forgiata da Efesto, proprio come Achille. Nella battaglia che ne seguì, Memnone uccise Antiloco che si fece colpire per salvare il padre Nestore. Achille affrontò Memnone a duello mentre Zeus pesava il fato dei due eroi, valutazione che portò alla vittoria di Achille, il quale uccise così l'avversario. Il Pelide inseguì poi i troiani fino in città. Gli dei, vedendo come Achille aveva già sterminato gran parte dei loro figli, decisero che questa volta era il suo turno. Venne ucciso infatti da una freccia lanciata da Paride e guidata da Apollo. Secondo un'altra versione venne ucciso da una coltellata mentre sposava Polissena, figlia di Priamo, nel tempio di Apollo, il luogo dove qualche anno prima aveva ucciso Troilo. Entrambe le versioni mostrano come la morte del grande guerriero sia totalmente ingloriosa, Achille era infatti invincibile sul campo di battaglia. Le sue ossa furono mescolate a quelle di Patroclo e furono tenuti giochi in suo onore. Dopo la morte, come Aiace, visse nell'isola di Leuco dove sposò l'anima di Elena.
La città di Troia venne infine conquistata senza battaglia, con un inganno concepito da Ulisse: un gigantesco cavallo di legno, animale sacro ai troiani. Venne costruito da Epeo, guidato a sua volta da Atena. Il legno venne recuperato dal boschetto sacro di Apollo e vi fu scritto sopra: «I greci dedicano questa offerta di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno». Il cavallo cavo venne riempito di soldati. Apollodoro dice che entrarono nel cavallo 50 uomini, attribuendo allo scrittore della Piccola Iliade, la concezione secondo la quale entrarono nel cavallo ben 3000 uomini mentre secondo Tzetzes ve ne erano 23. Quinto Smirneo ne nomina trenta ma dice che all'interno ve ne fossero ancora. Nella tradizione tarda il numero fu standardizzato a quaranta uomini. A capo di questi vi era Ulisse stesso. Il resto dell'esercito abbandonò il campo e si recò con tutta la flotta nell'isola di Tenedo. Quando i Troiani scoprirono che i Greci se ne erano andati, credendo che la guerra fosse finita, trascinarono gioiosamente il cavallo nella città. Proclo , seguendo la Piccola Iliade, dice che i troiani abbatterono una parte del muro per fare passare il cavallo. Prima di farlo entrare però i troiani discussero sul da farsi. Alcuni pensavano di gettarlo giù da una rupe, altri di bruciarlo, altri di dedicarlo ad Atena. Sia Cassandra che Laocoonte consigliarono ai troiani di distruggere il cavallo. Cassandra avvertì infatti all'interno del cavallo la presenza di un contingente nemico e Laocoonte l'appoggiò. Ma mentre Cassandra non venne creduta a causa della maledizione di Apollo, dei serpenti, usciti dal mare, divorarono Laocoonte e uno dei suoi due figli, o tutti e tre secondo Virgilio, o solamente lui secondo altri. I troiani decisero allora di portare in città il cavallo e passarono la notte fra i festeggiamenti. Sinone, una spia achea, diede segnale alla flotta, ferma a Tenedo, di partire. I soldati, usciti dal cavallo, uccisero le sentinelle e aprirono le porte della città ai loro compagni.
Gli achei entrarono così in città e ne uccisero gli abitanti. Ne seguì un grande massacro che continuò anche nella giornata seguente: «Il sangue scorreva in torrenti, faceva marcire il terreno, era quello dei troiani e dei loro alleati stranieri morti. Tutta la città da su e giù era bagnata del loro sangue» (Quinto Smirneo). Tutto non andò però come volevano gli achei, i troiani, alimentati dall'alcool e dalla disperazione, lottarono ancora più ferocemente. Con la lotta al culmine e la città in fiamme, i nemici si rivestirono delle armi e, con grande sorpresa dei greci, contrattaccarono in combattimenti caotici in strada. Tutti cercavano di difendere la propria città, lanciando tegole o altri oggetti sulle teste dei nemici che passavano. Euripilo, il figlio di Telefo, fu tra coloro che si batterono fino all'ultimo, uccidendo Macaone, Nireo e Peneleo, ma venendo ucciso a sua volta da Neottolemo. Questi poi uccise Polite e Priamo, che aveva cercato di rifugiarsi presso l'altare di Zeus del proprio palazzo. Menelao uccise Deifobo, marito di Elena dopo la morte di Paride, mentre questi dormiva e avrebbe anche ucciso Elena se non fosse rimasto abbagliato dalla sua bellezza. Gettò così la spada e la riportò sulla sua nave. Aiace Oileo stuprò Cassandra sull'altare di Atena mentre lei si aggrappava alla statua. A causa dell'empietà di Aiace, gli achei, esortati da Ulisse, volevano ucciderlo a sassate ma lui riuscì a fuggire nell'altare stesso di Atena e a salvarsi. Antenore, che aveva dato ospitalità a Menelao e Ulisse quando loro chiesero il ritorno di Elena, e che li aveva difesi, fu risparmiato insieme alla sua famiglia. Enea prese il padre sulle spalle e fuggì dalla città. Secondo Apollodoro venne risparmiato a causa della pietà dimostrata nei confronti dei nemici. I greci incendiarono poi la città e si divisero il bottino. Cassandra fu data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo, Ecuba ad Ulisse. Proclo dice che Ulisse gettò dalle mura della città il piccolo Astianatte, Apollodoro dice che autore dell'infanticidio fu Neottolemo o per sete di sangue, come dice Quinto Smirneo, o per continuare un ciclo di vendetta che i figli ereditano dai padri (Achille uccise Ettore, Neottolemo uccise Astianatte), tesi che viene accettata da Euripide . Neottolemo sacrificò poi la giovane Polissena sulla tomba di Achille come richiesto dal suo fantasma, o perché voleva il bottino di guerra che gli spettava anche da morto o perché lei lo aveva tradito. Etra, la madre di Teseo, era una delle schiave di Elena e venne liberata da Demofonte e Acamante.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Troia

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