Nel 303 a.C., allo scopo di frenare l'espansione di Taranto, i Lucani si allearono con Roma, che, tuttavia preferì concordare la pace; nei trattati stipulati fu inclusa una clausola in base alla quale veniva vietato alle navi romane di spingersi ad oriente oltre il Capo Lacinio. Nel 282 a.C., Roma inviò una flotta composta da dieci navi in soccorso degli abitanti di Thurii, assediati dai Lucani; per raggiungere Thurii, i Romani dovettero oltrepassare Capo Lacinio e pretesero di ormeggiare nel porto di Taranto. La città era impegnata nei festeggiamenti in onore di Dioniso e la popolazione assisteva ai giochi nell' anfiteatro vicino al mare: viste all'orizzonte le navi romane, i Tarantini, che già odiavano Roma per le sue mire espansionistiche e per gli aiuti che aveva sempre prestato ai governi aristocratici, videro in questo arrivo una violazione del trattato del 303 a.C. e non esitarono, quindi, ad affrontarle con la propria flotta, riuscendo ad affondare quattro navi e a catturarne una e facendo molti prigionieri tra i Romani. Non appagati, marciarono contro la vicina Thurii, sopraffacendo il presidio romano e saccheggiando la città. Nonostante l'oltraggio subito, Roma non volle cominciare una guerra che avrebbe sicuramente richiamato nella penisola milizie greche o cartaginesi, pertanto inviò nella città come ambasciatore Lucio Postumio per chiedere con fermezza la restituzione della nave e dei prigionieri catturati, nonché l'abbandono di Thurii. Postumio fu accolto con dileggio e sarcasmo per il suo abbigliamento e per il greco incerto con cui si espresse. Avendo, inoltre, espresso delle minacce, per reazione i Tarantini invitarono l'ambasceria ad abbandonare subito la città e si racconta che in quell'occasione un uomo di nome Filonide, soprannominato "Kotylè" per il suo aspetto, orinò sulla toga di Postumio, che così ammonì la popolazione: "Per lavare quest'offesa spargerete una gran quantità di sangue e verserete molte lacrime". La guerra fu dichiarata nel 281 a.C. Gli ambasciatori giunsero a Roma, senza portare risposte, nel 281 a.C. , nei giorni in cui i nuovi consoli, Lucio Emilio Barbula e Quinto Marcio Filippo , entravano in carica; Postumio riferì l'esito della sua ambasceria e l'offesa che aveva subito: i consoli, dunque, convocarono il senato, che si riunì per più giorni dall'alba fino al tramonto, per decidere sul da farsi. Un certo numero di senatori riteneva poco prudente intraprendere una spedizione militare contro Taranto quando le ribellioni dei popoli italici non erano ancora state del tutto sedate, ma la maggior parte preferì che la decisione di dichiarare guerra a Taranto venisse messa subito ai voti: risultarono essere in maggioranza coloro che volevano che Roma si impegnasse all'istante in un'azione militare, e la popolazione ratificò la decisione senatoria. Lo storico Marcel Le Glay pone l'accento sulle pressioni di una parte dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia , per l'espansione territoriale di Roma verso il sud Italia. Lucio Emilio Barbula fu dunque costretto a sospendere temporaneamente la campagna che aveva intrapreso contro i Sanniti e fu incaricato dal popolo di riproporre a Taranto, per salvare la pace, le stesse condizioni proposte da Postumio. I Tarantini, impauriti dall'arrivo dell'esercito consolare romano, si divisero tra coloro che sarebbero stati intenzionati ad accettare le condizioni di pace offerte dai Romani e coloro che avrebbero invece voluto dare inizio alle ostilità. Barbula cominciò a devastare le campagne circostanti la città, tanto che i Tarantini, consci di non poter affrontare a lungo l' assedio romano, cercarono nuovi aiuti questa volta in Epiro, richiedendo l'intervento del re Pirro. Quest'ultimo, che aveva avuto un'educazione militare dall'allora sovrano di Macedonia, Demetrio I Poliorcete (aveva tra l'altro combattuto, assai giovane, alla battaglia di Ipso), accolta la richiesta di aiuto dei Tarantini, desideroso di ampliare il proprio regno ed incorporare nella propria sfera d'influenza la Magna Grecia, compresa la Sicilia (contesa dai Cartaginesi e dalla città greca di Siracusa) fondando uno stato nell'Italia meridionale, inviò Cinea per comunicare la sua decisione, poco prima che Taranto capitolasse. Pirro non poteva respingere la richiesta di aiuto fatta da Taranto poiché quest'ultima aveva dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C. Scullard scrive che se Pirro non avesse aderito alla richiesta dei Tarantini, il dissidio tra Taranto e Roma si sarebbe risolto facilmente e velocemente. E invece fu la guerra. Taranto strinse alleanza con Pirro, Re dell'Epiro, che inviò il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti e obbligò i Tarantini abili alle armi ad arruolarsi. Le Guerre pirriche furono un conflitto che vide tra il 280 a.C. ed il 275 a.C. la Repubblica romana affrontare l'esercito del re epirota, Pirro, a capo di una coalizione greco-italica. Ebbero luogo nell'Italia meridionale e coinvolsero anche le popolazioni italiche del posto. Generata dalla reazione di Taranto, città della Magna Grecia, all'espansionismo romano, la guerra coinvolse presto anche la Sicilia greca e Cartagine. Dopo alterne vicende, i Romani riuscirono alla fine a battere Pirro, costretto a lasciare definitivamente l'Italia; l'esito fu l'egemonia romana sull'intera Magna Grecia. Gli scontri tra Epiroti e Romani furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane: la famosa Battaglia di Heraclea del 280 a.C. , che vide protagonisti il console romano Publio Valerio Levino e lo stesso Pirro, costò 7.000 morti, 2.000 prigionieri e 15.000 feriti ai Romani e 4.000 morti più un gran numero di feriti tra i greci. I successi degli Epiroti erano legati alla presenza degli elefanti da guerra , animali tanto imponenti, quanto sconosciuti fino ad allora ai Romani. La lega tarantino-epirota colse ancora un successo nella Battaglia di Ascoli Satriano del 279 a.C., ma, nonostante queste iniziali vittorie, Pirro, consapevole della potenza e dell'organizzazione dei suoi avversari e desideroso di crearsi un dominio personale in Italia, invece di risolvere il conflitto si spostò in Sicilia. I Romani, nel frattempo, si riorganizzarono e trovarono le contromisure alla presenza degli elefanti, per cui le sorti delle battaglie successive si spostarono sempre più a loro favore, tanto che Pirro non poté che stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia, a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto. Tuttavia, Roma tornò ben presto in campo contro i popoli del Mezzogiorno e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia. Le sconfitte di Pirro furono questa volta decisive, tanto che, dopo la disfatta di Malevento si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto solo una piccola guarnigione comandata da Milone. A causa della sconfitta Pirro abbandonò la campagna d'Italia e tornò in Epiro, dove, non pago del grave prezzo in uomini, denaro e mezzi della sua avventura a Occidente, due anni dopo preparò un'altra spedizione bellica contro Antigono II Gonata: il successo fu facile e Pirro tornò a sedersi sul trono macedone, dove morì di lì a poco mentre tentava di conquistare il Peloponneso. Taranto rimase sotto assedio altri tre anni, capitolando nel 272 a.C., e di lì a poco tutto il resto dell'Italia meridionale passò nell'orbita dell'Urbe (Reggio fu presa nel 271 a.C.): Roma aveva completato la sottomissione della Magna Grecia e la conquista di tutta l'Italia meridionale. In seguito alla vittoria romana la città di Maleventum divenne colonia (268 a.C.) e ribattezzata Beneventum (da cui l'odierna Benevento), nome più adeguato alla felice circostanza. L'integrazione della Magna Grecia nel dominio della Repubblica Romana fu l'inizio di varie evoluzioni sociali per la città, che accoglieva così molti più greci con la loro cultura che avrebbe in seguito influenzato la stessa società romana. Ma mise anche Roma a diretto contatto con la Sicilia, divisa fra i greci e i cartaginesi, situazione che avrebbe in seguito condotto alle guerre puniche. Le sconfitte di Pirro furono questa volta decisive, tanto che, dopo la disfatta di Malevento si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto solo una piccola guarnigione comandata da Milone. I Tarantini chiesero l'aiuto di una flotta cartaginese con lo scopo di liberarsi del presidio epirota. Per tutta risposta, Milone consegnò la città al console romano Lucio Papirio Cursore che così cadde in potere dei Romani, che nel 272 a.C. ne fecero smantellare le mura, imposero un tributo di guerra e sottrassero tutte le armi e le navi. Tutto ciò che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi oggetto di valore fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse in latino l' Odissea; il grande poeta Leonida, invece, riuscì a fuggire prima della capitolazione della città, ma da quel momento visse un'esistenza miserrima, morendo in esilio. Roma si astenne dall'infliggere a Taranto ulteriori punizioni e mise la città nel novero delle alleate, proibendole, però, di coniare moneta. Durante la seconda guerra punica, in seguito all'esecuzione di due prigionieri tarantini, colpevoli di aver tentato la fuga, nella città riprese vigore un certo sentimenti anti-romano. Attraverso il tradimento di due cittadini, favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riuscì nel 212 a.C. ad impadronirsi di Taranto e costrinse all'assedio i Romani, che non furono più in grado di usare la città come base logistica per le proprie truppe. Nel 209 a.C., il console romano Quinto Fabio Massimo si impadronì nuovamente di Taranto, questa volta grazie al tradimento di un ufficiale cartaginese. La punizione inflitta dai Romani per la defezione di Taranto fu durissima. La città venne completamente saccheggiata e furono portate a Roma migliaia di opere di opere d'arte tra cui il famoso Ercole di bronzo di Lisippo, oltre 83 mila libbre e 9 mila talenti d'oro, una grande quantità di argento coniato e lavorato, bronzi e stoffe preziose. Oltre 30 mila tra Tarantini e Cartaginesi furono fatti schiavi. Il bottino fu tale da consentire a Roma di coniare per la prima volta monete d'oro. Nel 123 a.C. Gaio Gracco istituì una colonia nel territorio confiscato dallo stato romano. Dopo l' 89 a.C., la comunità greca e la colonia romana confluirono in un'unica struttura amministrativa, il cosiddetto municipium, segnando l'omologazione completa di Taranto nella Repubblica romana. Nell'occasione della stipula di uno storico patto tra Augusto e Marco Antonio nel 37 a.C., la città venne fornita di un acquedotto e di un anfiteatro. Il I secolo a.C. fu caratterizzato, nel complesso, da una sopravvivenza difficile e solo verso la sua fine si registrò una certa ripresa. La città mantenne un buon livello di vita urbana all'epoca di Traiano, durante il quale furono costruite le terme Pentascinenses, poi restaurate nel IV secolo da Furio Claudio Togio Quintillo.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Taranto
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Guerre_pirriche
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