Ελληνική ιστορία και προϊστορία

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Σάββατο 20 Ιουνίου 2015

Pirro (Πύρρος, Pýrros) re dell'Epiro di Grecia e Magna Grecia

Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.C. con 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri, 20.000 fanti oltre a venti elefanti da guerra, che per la prima volta appaiono sul suolo italico. Precedentemente aveva inviato un suo generale, Milone, con un distaccamento di oltre 3.000 soldati per rafforzare la guarnigione di Taranto. Pirro riesce anche ad ottenere l'alleanza dei Sanniti.
In un primo momento il sovrano, inferiore per numero di soldati, cercò un negoziato con il console Publio Valerio Levino, che però fallì. Poi, però, grazie alla superiorità della cavalleria e alla potenza degli elefanti, egli batté nella battaglia di Heraclea i Romani, guidati da Levino.
I Romani persero circa 7000 uomini, in una sconfitta assicurata anche dallo spavento che gli italici ebbero alla visione dei pachidermi, a loro sconosciuti; Pirro perse 4000 uomini, che però furono presto rimpiazzati dai soldati di alcune tribù italiche (Lucani, Bruzi e Messapi) e città greche (Crotone, Locri Epizefiri), le quali, alla notizia della vittoria, ne approfittarono per unirsi a lui. La nuova situazione di vantaggio permise a Pirro di proporre una tregua a Roma, che però fu rifiutata. Pirro passò l'inverno tra il 280 e il 279 in Campania, prima di invadere la Puglia.
Nel 279 a.C. i Romani si scontrarono con Pirro ad Ascoli Satriano, dove furono nuovamente sconfitti (persero 6000 uomini), infliggendo tuttavia, in proporzione, perdite talmente alte alla coalizione greco-italico-epirota (3500 soldati) che Pirro fu costretto a riparare in Sicilia con l'esercito, presso quelle stesse città che pretendeva di proteggere, per evitare ulteriori scontri. Si narra che abbia dichiarato, alla fine della battaglia: «Ἂεανἔετι μίαν μάχην νικήσωμεν, απολώλαμεν» («Un'altra vittoria così e sarò perduto.»). Da questo episodio l'uso del termine vittoria di Pirro. Pirro nutriva comunque grande stima per il coraggio dei soldati romani; si racconta che camminando sul campo di battaglia tra i cadaveri dei nemici vide che tutti erano stati feriti al petto e i loro volti conservavano ancora quella stessa espressione agguerrita e indomita con cui avevano trovato la morte. Così alzando le braccia al cielo esclamò: "Se avessi avuto simili soldati avrei conquistato il mondo".
Vanno tenuti in conto diversi fattori per valutare la portata dell'avanzata di Pirro: innanzitutto, egli è abbastanza presto percepito come un tiranno dai Tarantini, che ritirano il loro appoggio; Pirro, d'altra parte, ha difficoltà a muovere il proprio esercito sugli Appennini; infine, la resistenza romana è determinata dal proprio valore nazionale, quello di una realtà statuale intimamente radicata al territorio (cosa che non valeva per gli eserciti ellenistici, composti soprattutto da mercenari). Nel 278 a.C. Pirro ricevette due offerte allo stesso tempo: da un lato, le poleis siceliote gli proposero, in quanto genero di Agatocle, di scacciare i Cartaginesi dalla metà occidentale dell'isola; dall'altro, i Macedoni gli chiesero di salire al trono di Macedonia al posto di re Tolomeo Cerauno, decapitato nell'invasione della Grecia e della Macedonia da parte dei Galati. Pirro giunse a conclusione che le opportunità maggiori venivano dall'avventura in Sicilia, e decise di recarvisi.
Nel racconto plutarcheo Pirro dice al compagno Cinea:
« La Sicilia è vicina e ci tende la mano; è un'isola prospera e popolosa, facile da conquistare. Infatti in ogni città c'è disordine e anarchia e lo strapotere dei demagoghi dopo la morte di Agatocle. » (Vita di Pirro, 14, 4) La scelta di Pirro rinvia al desiderio di mettere in piedi un regno che unisse la grecità italiota e siceliota e che riuscisse a fronteggiare le potenze di Roma e Cartagine.
In Sicilia, i Cartaginesi stavano tentando di avvantaggiarsi della instabilità politica dominante sull'isola determinatasi dopo la morte di Agatocle: le maggiori poleis erano in mano di signori locali (un Eracleide a Leontinoi, un Tindaro a Tauromenion, un Onomarco a Katane), mentre a Siracusa era stato eletto strategòs aurokrátor Iceta di Siracusa, che ricoprì la carica fino al 279 a.C. A Siracusa era in atto un conflitto interno, motivato dal rifiuto di concedere la cittadinanza ai mercenari di Agatocle ora senza padrone. Concordato con essi che avrebbero potuto vendere i propri beni e lasciare la Sicilia, essi si allontanarono da Siracusa, ma razziarono Gela e Camarina, per poi volgersi verso Messana, che fu occupata e ribattezzata Mamertina, dal nome che essi stessi si erano dato, "Mamertini" (preso a sua volta dal nome del dio osco della guerra, Mamer).[30] Le scorribande mamertine erano coperte da Roma, che nel mentre aveva ampliato la propria sfera di influenza fino a Reghion (dove è inviata la legio Campana). In questo panorama, i Cartaginesi erano riusciti ad imporsi in tutta l'isola (segnatamente ad Akragas, ma anche a Gela, dove poi sarebbe passato il tiranno Finzia, che avrebbe raso al suolo la città e deportato la popolazione per fondare, nei pressi dell'odierna Licata, il centro di Finziade): solo Mamertina e Siracusa erano rimaste libere. Quando i Mamertini decisero di scagliarsi contro quest'ultima, Siracusa, insieme ad Akragas e Leontini, ricorse a Pirro, sperando, probabilmente, che l'intervento del condottiero epirota rappresentasse una fase transitoria. I Cartaginesi decisero a questo punto di accordarsi con i Romani, con i quali stipularono un trattato difensivo (il cui contenuto è riportato da Polibio, 3, 25), anticipando Pirro, che aveva la medesima intenzione.
Nel 278 a.C. Pirro, dopo aver preparato la spedizione con l'invio di ambasciatori, riuscì a sfuggire alla flotta punica e ad approdare con 10.000 uomini a Tauromenion, appoggiato dal tiranno Tindaro. Di qui, seguito via mare dalla flotta, giunse trionfalmente a Siracusa, accolto come un liberatore. Nella polis aretusea riuscì a mediare tra Thoinon e Sosistrato: il primo è fatto phróurarchos (cioè sovrintendente ai phrouria), il secondo è posto al comando dei mercenari. Stando a Polibio, ricevette la carica di eghemon e di basileus. Riprese la simbologia usata da Agatocle nella coniazione di monete d'argento (la testa di kore), segno del desiderio di richiamarsi all'ex suocero. Stessa cosa accade per le pregiatissime monete d'oro, con l'immagine della Nike. In gran parte per merito dei Siracusani, riuscì a mettere in piedi una flotta di duecento navi.
Nominato così re di Sicilia, i suoi piani prevedevano la spartizione dei territori fin lì conquistati tra i due figli, Eleno (a cui sarebbe andata la Sicilia) e Alessandro (a cui sarebbe andata l'Italia).
Nel 277 a.C. prese avvio il conflitto con i Cartaginesi: inizialmente furono conquistate facilmente Akragas, Eraclea Minoa, Selinunte, Halikyai e Segesta. Maggiore resistenza fu incontrata a Panormos e a Erice, la più munita fortezza filo-cartaginese sull'isola, e questo rese quasi naturale la defezione delle altre città controllate dai Punici. Lilybaion, invece, risultò inespugnabile: un assedio di due mesi risultò vano. I Cartaginesi avanzarono proposte di pace (tradendo l'accordo con i Romani), offrendo a Pirro la propria flotta per portarlo in Italia e qui attaccare Roma, ma questi rifiutò. Pare che a questo punto Pirro concepisse un piano analogo a quello che aveva condotto Agatocle a portare la guerra in Africa. Per questa ragione cercò di finanziare la costruzione di una flotta, imponendo alle poleis siceliote la spesa. Pirro cercò di reagire imponendo una vera e propria dittatura su tutte le città greche, che fece presidiare con forti guarnigioni ma con tali misure si alienò tutti i consensi. I Cartaginesi tentarono di trarne giovamento inviando una seconda armata in Sicilia e furono prontamente sconfitti. Tuttavia, Pirro, informato dai Tarantini che Roma era riuscita ad occupare gran parte della Magna Grecia e conscio della sua impopolarità tra i Sicelioti, decise poco dopo di abbandonare la Sicilia e di tornare in Italia. A riguardo la tradizione afferma che il sovrano, rivolgendosi ad alcuni compagni poco dopo aver abbandonato l'isola, esclamasse: "Che meraviglioso campo di battaglia stiamo lasciando, amici miei, a Cartaginesi e Romani". Qui, i Romani lo aspettavano: nel 275 a.C. mossero a battaglia contro un esercito epirota stanco e provato da anni di lotte lontano dalla patria, presso Maleventum. La battaglia, sebbene fosse dal punto di vista tattico, inconcludente, segnò la decisione del re epirota di ritornare in patria dal momento che non aveva ricevuto alcun rinforzo dalla Grecia e dagli altri sovrani ellenistici cui era stata fatta richiesta. In ricordo della battaglia i romani ribattezzarono il villaggio Beneventum.
Pirro abbandonò la campagna d'Italia e tornò in Epiro, dove, non pago del grave prezzo in uomini, denaro e mezzi della sua avventura a Occidente[38], due anni dopo preparò un'altra spedizione bellica contro Antigono II Gonata: il successo fu facile e Pirro tornò a sedersi sul trono macedone.
Πηγή: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pirro#La_campagna_militare_in_Italia

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